giovedì 6 gennaio 2011

Tolstoj, l'inattuale contemporaneo

Fra i tanti esercizi di retorica che affliggono le commemorazioni forse il più frequente, e il meno plausibile, consiste nel lodare del commemorato gli aspetti che lo renderebbero “attuale”. Certo così facendo si fornisce una accattivante patina di “novità” anche a ciò che altrimenti attirerebbe solo pochi, dotti cultori delle vestigia del passato; ma ci sarebbe da chiedersi se questa “attualità” sia poi effettivamente un titolo di merito. Attuale è ciò che appartiene al proprio tempo, e in esso si esaurisce, così che essere “attuali” equivale un po' ad essere “alla moda”, ovvero di scarso interesse per chi dagli effimeri domini del quotidiano si voglia inoltrare in quelli più duraturi dell'arte. Piuttosto che dell'attuale, meglio allora cercare le tracce del contemporaneo, e precisamente di quel contemporaneo che è al tempo stesso inattuale di cui scrive Giorgio Agamben:
Appartiene veramente al suo tempo, è veramente contemporaneo colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo caso, inattuale; ma, proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire ed afferrare il suo tempo. (.......) La contemporaneità è , cioè, una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce ad esso e,insieme, ne prende le distanze; più precisamente, essa è quella relazione col tempo che aderisce ad esso attraverso una sfasatura ed un anacronismo. Coloro che coincidono troppo pienamente con l'epoca, che combaciano in ogni punto perfettamente con essa, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla,(.....) contemporaneo è colui che tiene fisso lo sguardo nel suo tempo, per percepirne non le luci, ma il buio. Tutti i tempi sono,per chi ne esperisce la contemporaneità, oscuri.
Contemporaneo è colui che sa vedere quella oscurità, che è in grado di scrivere intingendo la penna nella tenebra del presente.
(Giorgio Agamben, Che cos'è il contemporaneo? In Nudità, ed. Nottetempo)
Con tutta evidenza, la vitalità del pensiero e la forza della prosa di Lev Nikolaevic Tolstoj, che l'odierno concerto celebra a un secolo esatto da quel fatale 7 novembre 1910 in cui nel freddo della stazione di Astapovo rese il suo ultimo respiro, possiedono proprio questa inattuale contemporaneità, in virtù della quale risplendono oggi del medesimo, tetragono vigore che contraddistinse le membra del loro artefice. E mi riferisco non solo e non tanto ai romanzi e ai racconti tra i più universalmente amati; certo le riflessioni del Principe Andrej, le crisi esistenziali di Pierre Besuchov, il suicidio della Karenina o la prese di coscienza di Ivan Il'ic turbano e turberanno sempre le anime sensibili, ma contro questo turbamento, contro la scandalo di un'emozione così intensa da cambiarci la vita, scatta quella sorta di immunizzazione dagli effetti del Vero attraverso il Bello che la museificazione del nostro rapporto con le opere d'arte ha ormai portato a compimento; in buona sostanza, siamo sì turbati, ma chiudiamo il libro, e non ci pensiamo più (se non per compiacerci di come quel bel parallelepipedo colorato all'esterno e pieno di parole all'interno faccia bella mostra di sé nella nostra libreria). Parlo invece del Tolstoj divulgatore di saggi, articoli e pamphlet scritti intenzionalmente al di fuori di qualunque “aura” estetica, dal contenuto così radicale e privo di mediazioni da mettere in crisi il pigro adagiarsi delle nostre opinioni sulle confortevoli morbidezze del luogo comune: potrebbe forse “passare di moda” chi non è mai stato, né mai sarà, “alla moda”? Chi con ogni sua parola ci sprona a non accettare il benchè minimo compromesso né con le piccole, quotidiane viltà che scandiscono, miseri noi, il nostro difficile procedere attraverso quella cosa ardua e amara che è la nostra vita, né con le richieste, ora subdole e insinuanti, ora violente e arroganti, del Potere, di ogni potere, quello che si ostende in autocelebrazioni di gloria, così come quello che si cela nella maschera mite di una socialità fondata sull'ipocrisia? No, naturalmente: il pensiero tolstojano mantiene inalterata la propria forza in qualunque epoca lo si trasponga, poiché attinge la sua ragion d'essere direttamente alle radici di ciò che è essenzialmente, eternamente umano.
Contemporaneo, inattuale; e, come si usa dire, scomodo; anzi scomodissimo, insistente e fastidioso come un tafano di socratica memoria: leggendo questi saggi su politica, società, morale, estetica (della cui ricchezza di argomenti la sintesi offerta nel nostro spettacolo, giocoforza limitata dalla necessità di lasciare spazio soprattutto alla musica, cerca di dare almeno un'idea) più di una volta ci sentiamo direttamente chiamati in causa; che sia il pacifismo, o il vegetarianesimo, o le ingiustizie nella distribuzione delle risorse, a ogni parola Tolstoj riesce a farci capire che ovunque c'è il Male, c'è anche qualcuno che lo compie, e che quel qualcuno il più delle volte non agisce da solo, ma può giovarsi dell'aiuto, o quanto meno della complice passività, di tanti, di troppi altri, noi compresi.
E scomodo, anzi scomodissimo, anche per un musicista. Certo Tolstoj amava la musica, questo è fuor di dubbio; tante sono le pagine di diario in cui ci racconta di ore trascorse serenamente al pianoforte insieme alla moglie, o di riunioni conviviali allietate fino all'entusiasmo dalla presenza di musicisti. Ma sulla musica scrisse anche parole terribili, invettive veementi, censure senza appello. Tale ambivalenza non deve stupirci: amare la musica vuol dire anche capirne, conoscerne i potenti effetti sull'animo umano, e forse temerla è il miglior riconoscimento che si possa renderle; del resto già Platone, già Sant'Agostino, pur non insensibili alle dolcezze dell'arte dei suoni, espressero un sacro timore per come essa sappia influenzare la nostra volontà, inducendo in noi sentimenti e perfino azioni che, se muniti come Ulisse di cera per le nostre orecchie, non avremmo provato o compiuto. Da musicista, inutile dirlo, preferirei che la musica fosse universalmente amata, anziché odiata, temuta, inibita; ciononostante mi sento di affermare che è meglio un odio motivato, piuttosto che l'insensibilità e l'incomprensione. Ben vengano i musicofobi ipersensibili come Tolstoj: nemico ben peggiore è chi si accosta alla musica con ignava e ignara indifferenza, chi vorrebbe relegarla a inutile orpello, volta a volta oppio per le masse o trastullo dei potenti, purché mai parte integrante e di primaria importanza nella formazione di individualità armoniosamente sviluppate. Ma chiudo qui l'argomento, perchè inizierei a parlare di quale appare essere il ruolo della musica, e dell'arte in genere, oggi in Italia, e ho come l'impressione che ne direi di talmente grosse da mettermi nei guai.

Qualche annotazione sulle musiche scelte per questo spettacolo, poiché se ben noto è il trait-d'union fra Tolstoj e la beethoveniana Sonata a Kreutzer, cui comunque accenneremo più avanti, forse non altrettanto conosciuto è il nesso tra il romanziere e gli altri Autori in programma.
Tchaikovsky incontrò Tolstoj più volte. In una pagina di diario del 1886 così rievoca una serata in cui, presente lo scrittore, venne eseguito il suo Primo Quartetto per archi:
Mai, in vita mia, la mia ambizione fu così soddisfatta, mai la mia coscienza di autore così appagata come quella volta quando Tolstoj, seduto accanto a me, ascoltava le note del mio «andante», mentre lacrime di commozione gli rigavano le guance.
Comprensibile soddisfazione, soprattutto viste le parole che Tolstoj dopo il concerto gli aveva scritto:
Non le ho detto nulla di quel che provavo, non ne ebbi nemmeno il tempo; potevo soltanto godere. Il mio ultimo soggiorno a Mosca rimarrà fra i miei ricordi più belli. Prima di allora, non mi era mai toccato ricevere [...] un compenso così bello come quella meravigliosa serata.
In un'altra pagina di diario, Piotr Ilich prende però le distanze dalle idee del pur venerato Lev Nikolaevic:
...Perché quest'uomo che possiede il dono prezioso di accordare l'anima dell'uomo in una maniera meravigliosamente armonica, che ha la forza di indurre le nostre deboli menti ad afferrare i più riposti moti del cuore, perché si sente in dovere di fare il predicatore, il moralista? Una volta, col semplice racconto di un episodio della vita di tutti i giorni, sapeva suscitare le impressioni più profonde. Adesso commenta testi e pretende un monopolio esclusivo nelle cose di fede e di etica. Il Tolstoi di un tempo, il narratore, era un Dio; l'attuale non è che un sacerdote.
Sergej Ivanovic Taneev, oltre che elegante compositore e ottimo pianista, fu anche il suscitatore, non si sa fino a che punto inconsapevole, di tremende scenate di gelosia che misero a durissima prova la serenità coniugale dei Tolstoj fornendo al contempo ispirazione al romanzo “La Sonata a Kreutzer”, nel quale Taneev diviene il fatuo e lubrico musicista Truchachesky, impegnato in rendez-vous musicali con la moglie del protagonista Podnyscev, alter-ego tolstojano. La musica di Beethoven, quel “qualcosa di terribile” in essa contenuto, è qui immagine archetipica della furia distruttrice cui possono giungere le passioni umane.
Anche Rachmaninov incontrò Tolstoj, ma con meno successo di Tchaikovsky; il giovane, talentuoso compositore attraversava una fase di profonda depressione, così che alcuni amici comuni gli procurarono un incontro con Tolstoj, nella speranza evidentemente che la prodigiosa energia vitale del grande vegliardo potesse risvegliare in lui nuove speranze per il proprio avvenire. Ma l'esito fu del tutto opposto: durante l'incontro Sergei Ivanovic suonò a Lev Nikolaevic alcuni dei suoi pezzi per pianoforte. Dopo aver ascoltato in atteggiamento sempre più corrucciato, Tolstoj esclamò: "Dimmi, le persone hanno bisogno di musica come questa?".
Carlo Galante ha composto “Per Sofja Tolstaja – Piccola Sonata in forma di Diario” appositamente per questo concerto; l'idea gli è nata leggendo i Diari della moglie di Tolstoj, recentemente tradotti e pubblicati in italiano, e dei quali anche ascolteremo la lettura di alcuni stralci. Vita dura, quella di moglie di un Genio: come criticare l'uomo che tutti adorano, l'esempio di rettitudine, l'autore di opere immortali? E d'altro canto, come sopportarne le inevitabili, egocentriche necessità quotidiane, le violente idiosincrasie, gli sbalzi di umore, senza rinunciare a un legittimo orgoglio, a una imprescindibile dignità? Le contraddizioni dell'animo di Sof'ja, volta a volta moglie innamorata e vittima di un marito dal carattere talmente forte da poter risultare opprimente, sono ben espresse dagli aspri contrasti timbrici, dinamici, ritmici di questo brano, che peraltro racchiude in sé, quale cellula generatrice, un frammento di assoluto lirismo, un Tema di Valzer di fresca, ingenua innocenza, scritto (o meglio: suonato, e poi trascritto dall'amico pianista Goldenweiser) dallo stesso Tolstoj. Luca Schieppati

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