martedì 11 ottobre 2011

Ci vorrebbe orecchio

Un breve omaggio alla memoria di Cesare Augusto Tallone, scritto in occasione di una mostra presso la Galleria Bolzani di Milano
Il pianoforte è una macchina che suona; per Cesare Augusto Tallone, figlio del pittore Cesare, doveva essere una macchina che canta, perché per lui era in questa necessaria affinità con l'emissione vocale che poteva sostanziarsi la peculiarità di una via italiana al pianoforte. Proteso a questo ideale, tutta la sua attività di costruttore e accordatore fu volta alla ricerca di quella ricchezza e rotondità di armonici che potesse nascondere, o almeno ingentilire, la durezza della percussione del martelletto sulla corda, principio della fonazione pianistica ma anche di essa irredimibile peccato originale.

E ci riuscì: suonare uno dei suoi pianoforti, dal più piccolo verticale al più maestoso gran coda, produce immediatamente una voce pura, dolce e intensa a un tempo, trasmettendoci delle good vibrations non dissimili da quelle di tante voci italiane del passato, da Beniamino Gigli, a Renata Tebaldi, a Ettore Bastianini, a seconda di quale registro della tastiera si voglia esplorare. E pur non avendone avuto, purtroppo, esperienza personale, non faccio fatica ad immaginare come lo stesso piccolo grande miracolo di intonazione dovesse avvenire con qualunque pianoforte fosse preparato dal prodigioso, leggendario orecchio di Tallone, sul quale si creò una varia, e veritiera, aneddotica, che ne consolidò la fama di insostituibile collaboratore dei più grandi pianisti della sua epoca, primo fra tutti Arturo Benedetti Michelangeli.

Altri tempi, vien da aggiungere. In tempi come i nostri in cui gli strumenti musicali, così come le persone, sembrano tendere al totale annullamento di ogni individualità, cosa avrebbe da dire Tallone? Forte di quell'energico ottimismo che sprigiona da ogni pagina della sua biografia credo saprebbe spronarci a mantenere vivo il suo ideale sonoro, a volerci dotare di una voce così protesa all'espressione del nostro animo da essere inadatta all'insulso chiacchiericcio.

Per fortuna questa sua preziosa eredità non è perduta: molti dei migliori accordatori discendono per li rami, in un modo o nell'altro, dalla lezione del suono Tallone; e se l'idea di un pianoforte da concerto italiano sta, pare, trovando una nuova realizzazione, non andrebbe dimenticato che anche ciò è in gran parte diretta o indiretta conseguenza delle idee e della attività di Tallone. Così come se tanti pianisti, come inadeguatamente ma pervicacemente anche il sottoscritto, cercano con ogni nota di trasformare i moderni, insipidi “cembali tintinnanti” in macchine che cantano capaci di emozionare, anche per questo dobbiamo rivolgere un grato ricordo a Tallone.

Perchè nella musica, ma non solo, ci vuole orecchio per fare qualcosa di buono e, come recita un proverbio milanese caro a Tallone , “chi ga' minga d'oregia, el po vess anca cativ!”. Lancio una proposta: e se prima del pareggio di bilancio mettessimo nella nostra Costituzione l'obbligo di verifica dell'orecchio di chi voglia governarci?

Luca Schieppati